Bollettino n. 27 – febbraio 2019

Come contrastare le fake news diffuse via Internet?
Si debbono e possono regolamentare i contenuti diffusi in internet?

“Internet ha contribuito in maniera decisiva a ridefinire lo spazio pubblico e privato, a strutturare i rapporti tra le persone e tra queste e le Istituzioni. Ha cancellato confini e ha costruito modalità nuove di produzione e utilizzazione della conoscenza”: con queste parole comincia il Preambolo della “Dichiarazione dei diritti in Internet”1.

Ma Internet può essere considerato come il nuovo libero mercato delle idee e delle informazioni, alle quali va garantita la massima possibilità di diffusione, senza che le autorità possano interessarsi del loro contenuto?

I principi liberali ci insegnano che il rimedio a un’affermazione falsa sta nel contrapporle un’affermazione vera, cioè nel libero confronto delle idee, nella garanzia del pluralismo; ci insegnano che la libertà di pensiero è fatta per tutelare i pensieri “cattivi”, quelli invisi al potere, alle maggioranze, e che perciò è pericoloso affidare poteri di censura alle autorità costituite. Nel definire la portata della libertà di espressione, nello stesso ordine di idee, vi è sostanziale concordanza nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani2 e della Corte costituzionale 3.

Ci si deve tuttavia domandare se la natura globale della nuova tecnologia digitale e il fatto che chiunque può creare e diffondere messaggi e informazioni consentano davvero il confronto delle idee e la verifica delle fonti delle notizie o non piuttosto amplifichino in modo esponenziale e potenzialmente dannoso l’impatto delle notizie false. La libertà di espressione di cui si tratta non è senza limiti e, come afferma esplicitamente l’art. 10 della Convenzione europea dei diritti umani, il suo esercizio comporta oneri e responsabilità. Oneri e responsabilità che appaiono particolarmente giustificati quando il veicolo delle opinioni espresse è quello potente di Internet4.

Come osserva Oreste Pollicino5 va considerato che: 1. L’enorme e crescente quantità di informazioni induce gli utenti ad accedere a quelle che corrispondono ai propri orientamenti e alle proprie preferenze, riducendo di fatto il pluralismo informativo; 2. La diffusione di notizie false non è coperta dalla libertà di espressione garantita dai principi costituzionali europei (art.10 della Convenzione europea dei diritti umani e art.11 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, che prevedono anche il diritto ad essere informati, cioè ad una corretta informazione): questa libertà infatti non prevale incondizionatamente sugli altri diritti fondamentali, i quali vanno tutelati attraverso un’attività di bilanciamento, che avviene ex-ante da parte del legislatore o ex-post da parte dei giudici; 3. La metafora del “libero mercato” è sempre meno appropriata all’attuale condizione di Internet, caratterizzata da concentrazioni economiche e dalla forza di pochi operatori privati.

Si pone allora un altro quesito: la sterminata giurisprudenza europea in tema di libertà di espressione e di suo bilanciamento con diritti fondamentali potenzialmente confliggenti (per esempio, in caso di diffamazione, discorsi d’odio, incitamento a commettere reati, ecc.) è sufficiente ad affrontare i problemi posti dalla diffusione globale di Internet e, in particolare, delle cosiddette fake news, o sono richiesti specifici interventi legislativi o regolamentari?

E’ vero che la falsità di un’affermazione non è di per sé giuridicamente punibile (pensiamo a quante affermazioni non vere leggiamo ogni giorno sulla stampa o sui social media!), ma lo può tuttavia diventare in casi particolari, come per esempio quando sia volontariamente diretta ad offendere, a ingannare per profitto, a incitare all’odio o alla commissione di reati. Quando dunque è legittimo vietare la diffusione di notizie false sul web? A chi e come può essere affidata l’autorità di stabilire che la notizia è falsa o che l’opinione espressa non è fondata su dati comprovabili? E una volta diffusi, a chi spetta rimuovere i testi? Sono responsabili solo coloro che hanno fabbricato le notizie false o anche coloro che le hanno diffuse sulle piattaforme digitali e sui social network? Questi ultimi sono forse paragonabili agli editori, che sono fornitori di contenuti e non meri intermediari? Una simile responsabilità non rischia di creare forme di censura privata affidata ai fornitori di servizi internet?

I problemi sono certamente complessi, ma ciò non toglie che debbano essere affrontati, come sta avvenendo per altri temi che coinvolgono i grandi mutamenti dovuti alla straordinaria diffusione dei più diversi contenuti consentita dalla sempre più evoluta tecnologia digitale: si pensi al tema della difesa del copyright di fronte alla facilità di convertire in formato digitale qualunque opera dell’ingegno e consentirne la fruizione gratuita a milioni di persone. Questione tuttora discussa, ma che ha già visto la formulazione di una proposta di direttiva della Commissione europea, approvata dal Parlamento il 12 settembre 2018.

Anche in tema di fake news la Commissione europea ha esaminato da tempo le molteplici questioni che la loro diffusione pone, anche in termini di sicurezza dei processi democratici; ha promosso studi, chiedendo uno specifico rapporto a un apposito gruppo di esperti6 e ha indirizzato alle altre istituzioni europee un complesso di proposte.

Di recente, il 5 dicembre 2018, la Commissione europea ha varato un “Piano d’azione contro la disinformazione”7, che fa seguito a precedenti iniziative volte a far fronte alla minaccia derivante dalle campagne di disinformazione online condotte da paesi terzi (è stata in particolare menzionata la Russia) come parte di una “guerra ibrida”, che comprende attacchi informatici e intrusione nelle reti. Il timore è che queste campagne potrebbero aumentare nel periodo che precede le elezioni europee del 2019. Di qui la proposta del “Piano d’azione”, che nell’introduzione adotta la seguente definizione: “Per disinformazione si intende un’informazione rivelatasi falsa o fuorviante concepita, presentata e diffusa a scopo di lucro o per ingannare intenzionalmente il pubblico, e che può arrecare un pregiudizio pubblico. Il pregiudizio pubblico include minacce ai processi democratici e a beni pubblici quali la salute dei cittadini, l’ambiente e la sicurezza dell’Unione. La disinformazione non include gli errori involontari, la satira e la parodia, o notizie e commenti chiaramente identificabili come di parte”.

Il piano di azione proposto si articola in quattro “pilastri”:

  1. Migliorare le capacità delle istituzioni dell’Unione di individuare, analizzare e denunciare la disinformazione;
  2. Potenziare risposte coordinate e comuni alla disinformazione;
  3. Mobilitare il settore privato nella lotta alla disinformazione;
  4. Sostenere azioni di sensibilizzazione e rafforzare la resilienza sociale.

Come si vede, si tratta di un pacchetto di iniziative politiche e non ancora di norme europee.

In una precedente Comunicazione8 dell’aprile 2018 la Commissione, per contrastare la disinformazione online, ha proposto “un approccio globale che mira a rispondere a tali gravi minacce promuovendo ecosistemi digitali fondati sulla trasparenza e che privilegiano l’informazione di elevata qualità, offrendo ai cittadini gli strumenti per riconoscere la disinformazione e proteggendo le nostre democrazie e i nostri processi di definizione delle politiche”. In quel testo, così come nella bozza di un “codice di condotta” proposto alla firma di organizzazioni e associazioni interessate, già si definisce la “disinformazione” nei termini poi ribaditi nel Piano d’azione sopra citato, e si ha cura di precisare che tutte le azioni proposte dovranno “rispettare rigorosamente la libertà di espressione e prevedere meccanismi che ne impediscano l’abuso, per esempio la censura dei discorsi critici, satirici, di opposizione o provocatori”, citando esplicitamente la già citata sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo la quale la libertà di espressione non si applica solo alle informazioni e alle idee accolte favorevolmente o considerate inoffensive, ma anche a quelle che “offendono, sconcertano o turbano”9.

In conclusione si constata che iniziative e riflessioni sono in corso per affrontare il difficile tema della diffusione via Internet di dannose notizie false e delle opinioni che su tali false notizie si fondano.

1 Testo elaborato dalla Commissione per i diritti e i doveri relativi ad Internet nominata dal Parlamento italiano e presieduta da Stefano Rodotà, a seguito della consultazione pubblica, delle audizioni svolte e della riunione della stessa Commissione del 14 luglio 2015.

2 A partire dalle fondamentali sentenze Handyside c. Regno Unito, 7 dicembre 1976, § 49; Observer e Guardian c. Regno Unito, 26 novembre 1991, § 59.

3 Corte cost. nn. 84/69, 172/72, 138/85.

4 Nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani, v. le sentenze K.U. c. Finlandia, 2 dicembre 2008, §§ 46-49; Editorial Board of Pravoye Delo e Shtekel c. Ucraina, 5 maggio 2011, §§ 63; Delfi AS c. Estonia, 16 giugno 2015, §§ 130-162;; Magyar Tartalomszolgaltatok Egyesülete e Index.hu Zrt c. Ungheria, 2 febbraio 2016, §§ 69-91 e la decisione Pihl c. Svezia, 9 marzo 2017. Magyar Jeti ZRT c. Ungheria, 4 dicembre 2018, §§ 63- 85.

5 Cfr. Oreste Pollicino, Fake News, Internet and Metaphors (to be handled carefully), in Italian Journal of Public Law 1 (2017). V. anche, dello stesso Autore, La prospettiva costituzionale sulla libertà di espressione nell’era di Internet, in Rivista di diritto dei media, 1/2018.

6 https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/news/final-report-high-level-expert-group-fake-news-and-online-disinformation

7 Comunicazione congiunta al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni, JOIN(2018) 36 final del 5 dicembre 2018

8Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni, “Contrastare la disinformazione online: un approccio europeo” COM(2018) 236 final del 26 aprile 2018

9 Handyside c. Regno Unito, cit., § 49.

Competenze

Postato il

Febbraio 26, 2019

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fonire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o clicchi su "Accetta" permetti al loro utilizzo.

Chiudi