Turchia. Ancora sulle misure della Turchia in seguito al tentato golpe del luglio 2016: tra timidi segnali di progresso e costanti situazioni di tensione democratica
1. Introduzione
Lo scorso 15 luglio è caduto il primo anniversario del tentativo di colpo di Stato avvenuto in Turchia un anno fa: la ricorrenza costituisce l’occasione per effettuare alcune sintetiche osservazioni circa l’evolversi della situazione dall’inizio del 2017 sino ad oggi1. In effetti nonostante sia trascorso un anno dal tentativo di colpo di stato, la situazione in Turchia continua ad essere critica sotto il profilo dei diritti umani. Il reiterato prolungamento dello stato di emergenza, infatti, consente al governo di fare largo uso della decretazione d’urgenza e di limitare le libertà fondamentali garantite non solo dalla Costituzione turca ma anche dalla Convenzione europea dei diritti e delle libertà fondamentali (CEDU) e dal Patto ONU sui diritti civili e politici, allo scopo proclamato di perseguire l’organizzazione ritenuta responsabile del fallitoputch, laFethullah Terrorist Organisation (FETÖ), e assicurare l’unità del paese. Il persistere dello stato di emergenza, del resto, legittima il governo di Ankara ad avvalersi delle deroghe previste dall’art. 15 CEDU e dall’art. 3 del Patto ONU, sebbene la proporzionalità delle misure adottate continui a sollevare non pochi dubbi circa la liceità delle limitazioni dei diritti garantiti dai due trattati2. Anche a seguito delle pressioni internazionali, a partire dal mese di gennaio si è registrato qualche passo in avanti sul piano dei diritti processuali. Tuttavia, i decreti susseguitisi negli ultimi mesi hanno condotto ad un vero e proprio annichilimento dell’apparato pubblico, ad una limitazione senza precedenti della libertà di espressione e ad una serie di condanne ‘eccellenti’, che rischiano di incrinare i rapporti tra la Turchia e la comunità internazionale. D’altra parte, la controversa vittoria elettorale conseguita dal presidente Recep Erdoğan al referendum costituzionale svoltosi lo scorso 16 aprile pare allontanare sempre di più Ankara dall’Unione europea.
2. Alcuni timidi segnali di progresso…
Uno degli aspetti certamente più critici della decretazione emergenziale utilizzata dal governo turco per procedere a licenziamenti in massa di dipendenti pubblici, alla chiusura di associazioni e alla confisca dei loro patrimoni per sospetti collegamenti con la FETÖ è l’impossibilità per i soggetti colpiti non solo di contestare dinanzi alle giurisdizioni ordinarie la loro iscrizione nelle liste allegate ai singoli decreti, ma anche di invocare un controllo di costituzionalità su tali atti aventi forza di legge. Sin dal dicembre 2016 la Commissione di Venezia aveva così avanzato la proposta di costituzione di un organoad hoc, indipendente ed imparziale, che potesse esercitare un controllo giurisdizionale sulle misure adottate dal governo durante lo stato di emergenza3. Il decreto n. 685 del 23 gennaio 2017 sembra aver raccolto questo suggerimento, istituendo una Commissione d’inchiesta sulle misure dello stato di emergenza (c.d.Inquiry Commission on the State of Emergency Measures) con il compito di valutare le decisioni direttamente assunte tramite decreti legge in tema di licenziamenti di dipendenti pubblici, revoca di borse di studio, chiusura di associazioni e annullamento dei gradi del personale in pensione4. La Commissione, che è entrata in funzione il 22 maggio e rimarrà operativa per i prossimi due anni, può ricevere ricorsi presentati entro 60 giorni dall’emanazione del decreto legge che si assume lesivo delle posizioni giuridiche tutelate e le decisioni possono essere soggette ad appello dinanzi ai tribunali amministrativi di Ankara. Si tratta certamente di un importante correttivo rispetto alla precedente grave lacuna in tema di controllo giurisdizionale sulle decisioni assunte dal governo che individualmente colpiscono persone fisiche e giuridiche, spesso in assenza di prove certe circa l’appartenenza o la ‘connessione’ alla FETÖ. Tuttavia, il fatto che 5 membri su 7 della Commissione siano di nomina governativa (in presenza di unquorum deliberativo di 4/7) e che le decisioni siano assunte sulla base della documentazione agli atti pone seri dubbi circa l’effettività e l’imparzialità di quest’organo. Va comunque osservato che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha recentemente ritenuto inammissibile un ricorso individuale contro la Turchia per mancato esaurimento dei ricorsi interni proprio perché non era stata precedentemente adita la Commissione d’inchiesta, e nonostante quest’ultima fosse stata istituita in epoca successiva al deposito del ricorso stesso5.
Nello stesso senso milita la decisione adottata dal governo turco di ridurre i termini massimi previsti in caso di fermo di polizia, originariamente fissati in 30 giorni in caso di sospetti coinvolti nel colpo di stato6. In seguito all’adozione del decreto n. 684 del 23 gennaio 2017, in effetti, il periodo massimo di detenzione preventiva in assenza di una pronuncia del giudice è stato ridotto a 7 giorni, prorogabile di altri 7 giorni dal pubblico ministero in caso di “difficoltà nella raccolta di prove o di un numero elevato di sospetti”7. Nonostante la Turchia abbia presentato questo provvedimento come una dimostrazione della propria volontà di migliorare le tutele individuali in un momento in cui le ‘minacce’ si sono ridotte8, la discrezionalità di cui sembra godere il pubblico ministero nel richiedere una proroga del fermo sembra comunque in contrasto con l’art. 5 CEDU e con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo in materia secondo cui anche in casi particolarmente problematici, come possono essere quelli connessi ad episodi di terrorismo, una detenzione di 14 giorni in assenza di un intervento del giudice è considerata eccessivamente lunga e contraria alla Convenzione9.
3. …e costanti situazioni di tensione democratica
Dal luglio 2016 ad oggi sono stati arrestati 159 giornalisti10, mentre circa 110 mila sono le persone detenute per connessioni con il colpo di stato. Oltre 138 mila dipendenti pubblici (tra cui giudici, insegnanti, professori universitari, ufficiali militari) sono stati licenziati attraverso decreti governativi. Circa 1.200 istituti scolastici, 15 università e 149 organi di informazione sono stati chiusi in tutto il paese11. Se non può che essere unanime la condanna nei confronti di un tentato attacco ad istituzioni democraticamente elette, la durata dello stato di emergenza che è seguito al golpe, nonché i metodi con cui si è proceduto a vere e proprie purghe nel settore statale e ad un serrato controllo dei mezzi di informazione, alimentano i sospetti sollevati da più parti che le accuse di terrorismo siano spesso troppo vaghe ed usate strumentalmente come mezzo di propaganda. Negli ultimi mesi hanno continuato a ridursi gli spazi per il dissenso politico nei confronti del governo, con pericolosi rischi di derive antidemocratiche, aggravati dalle denunce di parzialità della magistratura (soprattutto quella non togata, definita dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa come uno «strumento di molestia giudiziaria»12). Esiste, insomma, il rischio di un «serio deterioramento del funzionamento delle istituzioni democratiche nel paese»13, che senza soluzione di continuità potrebbe scivolare da uno stato di emergenza ad un presidenzialismo forte, quasi del tutto deprivato di un sistema costituzionale di ‘pesi e contrappesi’. Il risultato del referendum dell’aprile scorso ha infatti consentito il passaggio ad una forma di governo fortemente accentrata nella figura del presidente della repubblica, il quale potrà nominare i membri del proprio governo (che non sarà più soggetto ad un vincolo di fiducia del parlamento), godrà di ampi poteri di iniziativa legislativa e potrà sospendere o limitare i diritti fondamentali in caso di emergenza. Al di là delle valutazioni generalmente negative che esso ha riscosso a livello internazionale14, va anche sottolineato che l’esito referendario ha consegnato un paese profondamente spaccato, in cui solo il 51% degli elettori si è espresso a favore di una riforma costituzionale fortemente voluta da Erdoğan e sulla quale pesano, peraltro, le irregolarità denunciate dall’OSCE15.
Tra i casi maggiormente problematici dal punto di vista della ‘tenuta’ democratica del Paese vi sono gli arresti che continuano a susseguirsi in spregio delle più elementari garanzie in materia dihabeas corpus. Tra i più noti vanno ricordati il fermo delblogger italiano Gabriele Del Grande, rilasciato dopo 14 giorni di detenzione in assenza di un formale capo di accusa; l’arresto di Taner Kiliç, presidente della sezione turca di Amnesty, sospettato di far parte della FETÖ; la condanna a 18 mesi di prigione nei confronti di Murat Çelikkan, attivista per i diritti umani accusato di propaganda terroristica per aver agito come direttore di un giornale filo-curdo16. Tuttavia, l’episodio più grave, anche perché rappresenta un pericoloso precedente di interferenza sulle immunità di agenti internazionali è il caso della condanna del giudice ONU – di nazionalità turca – Aydin Sefa Akay, membro delUnited Nations Mechanism for International Criminal Tribunals17. Fermato lo scorso settembre, Akay è stato condannato il 14 giugno a 7 anni di prigione (con sospensione della pena) per legami con l’organizzazione gulenista FETÖ e sulla scorta, come spesso accaduto in altre occasioni, del mero utilizzo del sistema di messaggistica criptata ‘>ByLock’, usato anche dai golpisti. Il suo arresto aveva già suscitato la ferma condanna del presidente del Meccanismo ONU, Theodor Meron, che ha prima emanato un’ordinanza nei confronti della Turchia, intimandola di rilasciare Akay e di non intralciare le funzioni dell’organo delle Nazioni Unite18, e successivamente deferito la situazione al Consiglio di sicurezza19. Così facendo, infatti, la Turchia non avrebbe solo violato l’immunità diplomatica del giudice, garantita dalla Convenzione sui privilegi e le immunità delle Nazioni Unite del 1946 (che all’art. VIII, sez. 30 prevede la possibilità di chiedere un parere vincolante alla Corte internazionale di giustizia in caso di controversia tra l’ONU e uno Stato membro), ma avrebbe anche ostacolato le funzioni giurisdizionali affidate al Meccanismo, istituito dal Consiglio di sicurezza mediante la risoluzione 1966 (2010), adottata ai sensi del Capitolo VII della Carta.
4. Conclusioni
Violazioni dei diritti umani in Turchia non sono, purtroppo, una novità20. Tuttavia, a seguito del tentativo di golpe militare dell’anno scorso, e pur tenendo conto delle deroghe ai diritti fondamentali che una tale situazione straordinaria può in astratto legittimare, si è assistito ad un grave e prolungato deterioramento delle tutele individuali in materia di lavoro, libertà personale e libertà di espressione21. Proprio per tali motivi, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha deciso di riaprire la procedura di monitoraggio sul rispetto dei diritti umani in Turchia22, che a sua volta sembra porre un’ulteriore ostacolo al processo di adesione del paese all’Unione europea, dopo quello costituito dalla risoluzione del Parlamento europeo adottata il 24 novembre 2016 e che raccomandava una sospensione dei negoziati. Un deciso ritorno allo stato di diritto pare costituire, dunque, una precondizione necessaria per poter ristabilire una piena collaborazione tra la Turchia e i suoi principali alleati, restituendo un attore credibile ed indispensabile per la cooperazione internazionale in tema di immigrazione, terrorismo e stabilità medio-orientale.
Autore: dott. Mario Ventrone
1 Per una analisi delle misure adottate dalla Turchia sino alla fine del 2016 e per una valutazione della loro conformità al diritto internazionale e alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo v. Bollettino n. 20,Turchia. I diritti fondamentali. La reazione al tentato golpe e le deroghe alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (gennaio 2017)
2 Si vedano le osservazioni già formulate nel già citato Bollettino n. 20. Il 20 aprile 2017, la Turchia ha da ultimo notificatoex art. 15, par. 3 CEDU al Segretario generale del Consiglio d’Europa la decisione n. 1139 adottata il 18 aprile dall’Assemblea nazionale con cui viene prorogato di tre mesi lo stato di emergenza nel paese (si tratta della quarta proroga dal luglio 2016). Analoga notificazione è stata indirizzata al Segretario generale delle Nazioni Unite il 19 aprile. I testi sono disponibili ai siti www.coe.int/en/web/conventions/notifications e www.treaties.un.org/Pages/ViewDetails.aspx?src= TREATY&mtdsg_no=IV-4&chapter=4&clang=_en.
3 Commissione di Venezia,Opinion on Emergency Decree Laws Nos. 667-676 adopted following the failed coup of 15 July 2016, 9-10 dicembre 2016, p. 47 ss.
4 Art. 2 del decreto legge n. 685 del 23 gennaio 2017. I testi in lingua inglese dei decreti citati nel testo sono disponibili al sito www.coe.int/en/web/conventions/notifications.
5 Corte europea dei diritti dell’uomo,Koksal c. Turchia, ricorso n. 70478/16, decisione del 6 giugno 2017. V. ancheÇatal c. Turchia, ricorso n. 2873/17, decisione del 7 marzo 2017.
6 Art. 6, lett. a) del decreto legge n. 667 del 22 luglio 2016.
7 Artt. 10 e 11 del decreto legge n. 684 del 23 gennaio 2017.
8 Nota informativa sul decreto legge 684, cit.
9 Corte europea dei diritti dell’uomo,Aksoy c. Turchia, ricorso n. 21987/93, sentenza del 18 dicembre 1996, par. 78.
10 Secondo il sindacato di categoria TGS, www.tgs.org.tr/cezaevindeki-gazeteciler/.
11 I dati sono disponibili su www.turkeypurge.com.
12 Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa,Memorandum on freedom of expression and media freedom in Turkey, 15 febbraio 2017, par. 69.V. anche: Commissione di Venezia,Opinion on the amendments to the Constitution adopted by the Grand National Assembly on 21 January 2017 and to be submitted to a National Referendum on 16 April 2017 eOpinion on the Measures provided in the recent Emergency Decree Laws with respect to Freedom of the Media, entrambe del 10-11 marzo 2017;Relatore speciale ONU sulla promozione e la protezione del diritto alla libertà di opinione e di espressione,Report of the Special Rapporteur on the promotion and protection of the right to freedom of opinion and expression on his mission to Turkey, 7 giugno 2017.
13 Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa,The functioning of democratic institutions in Turkey,> risoluzione n. 2156 (2017) del 25 aprile 2017, par. 13.
14 Secondo la Commissione di Venezia, ad esempio, si tratterebbe di un «dangerous step backwards in the constitutional democratic tradition of Turkey» (>Opinion on the amendments to the Constitution, cit., par. 133).
15 OSCE,Turkey, Constitutional Referendum, 16 April 2017: Final Report, 22 giugno 2017.
16 Sul quale v. la dichiarazione del Commissario dei diritti umani del Consiglio d’Europa del 18 maggio 2017 (www.coe.int/en/web/commissioner/-/commissioner-concerned-about-sentencing-of-human-rights-defender-murat-celikkan-in-turkey).
17 Come è noto, il Meccanismo è stato istituito dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nel dicembre 2010 per proseguire alcune funzioni essenziali dei Tribunali Criminali Internazionali per il Rwanda (ICTR) e l’ex-Yugoslavia (ICTY) dopo il completamento dei loro mandati.
18 Meccanismo delle Nazioni Unite per i tribunali penali internazionali,Prosecutor v. Augustinnglrabatware, ordinanza del 31 gennaio 2017.
19 Lettera del 9 marzo 2017 (U.N. Doc. S/2017/204).
20Si tratta infatti del paese che ha storicamente subito il maggior numero di condanne da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo (www.echr.coe.int/Documents/Stats_violation_1959_2016_ENG.pdf).
21 V. i recenti rapporti di Amnesty International,Journalism is not a crime. Crackdown on media freedom in Turkey (maggio 2017) eNo end in sight. Purged public sector workers denied a future in Turkey (maggio 2017).
22 Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, risoluzione n. 2156 (2017), cit., par. 38.