Bollettino n. 23 – novembre 2017

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Le risposte dell’Italia e dell’Unione europea alla crisi migratoria

Nel corso degli ultimi mesi l’Italia, a fronte delle difficoltà dell’Europa nell’approntare risposte efficaci e solidali alla crisi migratoria, ha mostrato un notevole attivismo, dapprima firmando un Memorandum di intesa nel febbraio 2017 con la Libia, con il quale si impegna a fornire aiuto finanziario e tecnico al governo di Serraj al fine di fermare l’arrivo di migranti nel nostro Paese, successivamente promuovendo un codice di condotta per le ONG impegnate nelle operazioni di soccorso1 e minacciando di bloccare i porti alle navi delle associazioni che si sono rifiutate di sottoscrivere tale codice2; infine, annunciando una missione navale italiana di supporto alla Guardia costiera libica3.

Il numero di sbarchi è effettivamente diminuito, ma a quali costi? Qual è la responsabilità internazionale dell’Italia per la sorte delle migliaia di migranti intercettati dalla guardia costiera libica e riportati indietro in centri di detenzione dove sono sottoposti a trattamenti inumani e degradanti, e ad ogni tipo di violenza e sfruttamento ? Quale sarebbe la responsabilità se mettesse in atto la minaccia di bloccare l’ingresso nei propri porti alle navi di ONG che non hanno sottoscritto il codice di condotta?

Per quanto riguarda il primo quesito, come denunciato recentemente da Medici senza frontiere4, e come sostenuto da numerosi studiosi5, l’Italia è complice di un illecito internazionale.

L’Italia, infatti, con il Memorandum del 2 febbraio 2017 si è impegnata a collaborare con la Libia avendo come esplicito obiettivo la riduzione degli arrivi di migranti nel nostro Paese6, e a fornire a tale fine supporto tecnico e tecnologico, finanziamento dei centri di accoglienza e formazione del personale libico7.

Perché si configuri una responsabilità indiretta per complicità, secondo la Commissione di diritto Internazionale, che disciplina tale fattispecie all’art. 16 del Progetto sulla responsabilità internazionale degli Stati, tre condizioni devono essere soddisfatte: innanzitutto, lo Stato deve essere consapevole delle circostanze che rendono la condotta dello Stato assistito internazionalmente illecita; in secondo luogo, l’aiuto deve essere fornito “with a view to facilitating the commission of that act”; infine, la condotta posta in essere deve essere illecita anche se posta in essere direttamente dallo Stato che assiste8.

Invero, tutti e tre questi requisiti sono soddisfatti, qualora i migranti siano intercettati e riportati indietro in attuazione dell’accordo summenzionato tra Italia e Libia:

  1. Riportare i migranti in Libia li espone a rischio di tortura e trattamenti inumani e degradanti, nonché a refoulement indiretto verso i Paesi dai quali fuggono per sottrarsi a violenze e persecuzioni. L’Italia è ben consapevole delle circostanze che rendono la condotta della Libia internazionalmente illecita perché già all’epoca della firma del Memorandum numerosi rapporti avevano accertato le gravi e sistematiche violazioni di diritti umani nei confronti di migranti e richiedenti asilo in Libia: basti ricordare lo Human Rights Watch World Report 2017, reso pubblico il 12 gennaio 2017, e cioè poche settimane prima della firma del Memorandum, che attesta che in Libia “Officials and militias held migrants and refugees in prolonged detention without judicial review and subjected them to poor conditions, including overcrowding and insufficient food. Guards and militia members subjected migrants and refugees to beatings, forced labor, and sexual violence”9. Molto significativa anche la dichiarazione congiunta UNHCR-IOM del 2 febbraio 201710 (lo stesso giorno della firma del Memorandum), nella quale le due organizzazioni internazionali dichiaravano in chiari termini che: “We believe that, given the current context, it is not appropriate to consider Libya a safe third country nor to establish extraterritorial processing of asylum-seekers in North Africa”. Inoltre l’Italia era già stata condannata nel 2012 dalla Corte europea nel famoso caso Hirsi11 proprio a causa del rischio di gravissime violazioni dei diritti umani dei migranti in Libia: dopo la caduta di Gheddafi e la guerra civile la situazione è solo notevolmente peggiorata, come confermato da ultimo dal rapporto del 1° giugno 2017 del Panel di esperti per la Libia12 e dal Rapporto del Segretario generale Guterrez del 7 settembre 201713.

  2. I finanziamenti, in aggiunta alla previsione di supporto tecnico e tecnologico con l’esplicito scopo di “arginare gli arrivi dei migranti irregolari”, costituiscono chiaramente assistenza alla Libia “with a view to facilitating the commission of the wrongful act”, e cioè il ritorno dei migranti in Libia. Diverso sarebbe stato se l’aiuto e l’assistenza fossero stati dati in buona fede – ad esempio come aiuto allo sviluppo – e successivamente utilizzati dallo Stato beneficiario per attività di intercettazione di migranti in mare.

  3. Nessun dubbio, infine, quanto al terzo requisito, poiché detenere migranti in condizioni inumane costituirebbe senza alcun dubbio un atto illecito se posto in essere dall’Italia, ed in particolare una violazione del divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti, sancito da diversi trattati, tra i quali la Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

  4. Più problematica è la questione se sia possibile esperire contro l’Italia un ricorso davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, alla luce della giurisprudenza di tale corte: solo in pochi casi essa sembra aver accolto un approccio “funzionale” della nozione di giurisdizione, approccio che risulterebbe particolarmente utile in tutti i casi in cui la prova del « jurisdictional link» – se si mantiene il paradigma del controllo «over an area or an individual» – risulti difficile, come nel caso di specie14. Più semplice sarebbe invece affermare l’esistenza della giurisdizione nel caso in cui l’Italia, come ha minacciato all’inizio di agosto, bloccasse l’ingresso nei porti a navi di ONG eventualmente intervenute in soccorso di migranti senza aver previamente sottoscritto il summenzionato codice di comportamento. Molto significativa in proposito è la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo Women on Waves c. Portogallo: in tale decisione la Corte ha implicitamente ammesso la giurisdizione del Portogallo per il divieto – imposto ad una nave battente bandiera olandese – di entrare nelle proprie acque territoriali. Nell’ipotesi di blocco navale, inoltre, ulteriori elementi contribuiscono a confermare la tesi secondo cui le navi che chiedono l’autorizzazione di ingresso in porto rientrano nella giurisdizione dello Stato italiano. Infatti, come osservato15, in quanto “responsabile della zona SAR di soccorso – o anche nel caso in cui il soccorso sia avvenuto al di fuori della zona SAR italiana, ma comunque su impulso di un SOS diramato dall’MRCC (Comando generale del Corpo della Capitanerie di Porto) di Roma – l’Italia risulta essere il Paese giuridicamente responsabile del coordinamento dei soccorsi ed è dunque lo Stato che esercita, «conformemente al diritto internazionale», le funzioni esecutive che tale coordinamento comporta (v. mutatis mutandis, Al-Skeini c. Regno Unito e Jaloud c. Paesi Bassi)”.

La politica italiana degli ultimi mesi si inserisce peraltro nel contesto della strategia definita dall’UE a partire dall’Agenda europea sull’immigrazione del marzo 201516, i cui risultati sono contenuti in una comunicazione pubblicata nel mese di settembre 201717. Nel documento da ultimo menzionato vengono ammesse le difficoltà che gli Stati membri e la stessa Unione europea hanno incontrato inizialmente nell’affrontare “il maggior numero di arrivi di rifugiati e migranti dalla fine della seconda guerra mondiale” e viene preso atto dell’impatto che tale situazione ha prodotto sull’Unione, in particolare sul sistema europeo comune di asilo (d’ora in avanti, SECA) e sul funzionamento del Codice delle frontiere Schengen18. Nondimeno, ad avviso della Commissione, l’attuazione dell’Agenda ha prodotto da subito dei risultati tangibili in termini di riduzione degli arrivi irregolari, e ciò soprattutto grazie all’intesa UE-Turchia, alla cooperazione con i Paesi terzi, alle azioni congiunte realizzate nel Mediterraneo centrale e all’approccio hotspot. Contemporaneamente alla risposta immediata, la volontà, già espressa nell’Agenda, e reiterata nella comunicazione del 27 settembre 2017, è di realizzare modifiche strutturali per una più efficace gestione della migrazione e dell’asilo, in particolare attraverso gli interventi della Guardia costiera e di frontiera europea e la riforma integrale del SECA.

Rispetto a quest’ultimo elemento, ci si vuole limitare ad evidenziare come i risultati tanto celebrati dalla Commissione europea siano in vero di portata estremamente limitata. Ad esempio, il piano di resettlement, che viene definito “uno strumento di protezione fondamentale”19, ad oggi non è stato completato e può leggersi sostanzialmente come un fallimento: infatti, non si è ancora provveduto a trasferire dai Paesi terzi il 25% di quella quota – pur minima – di 22504 persone bisognose di protezione internazionale che, secondo le Conclusioni del Consiglio europeo del 22 luglio 201520, avrebbero dovuto essere coinvolte nella procedura21. Anche il ricollocamento da Grecia e Italia ha posto in evidenza la riluttanza degli Stati membri a mettere in atto forme di solidarietà fattiva nei confronti di Stati membri particolarmente esposti alla pressione migratoria22. Solo 19.244 richiedenti protezione internazionale dalla Grecia (su 63.302) e 8.451 dall’Italia (su 34.953 previsti) sono stati concretamente trasferiti al 4 settembre 2017 e la Commissione europea ha avviato una procedura di infrazione nei confronti di Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca, che non hanno adempiuto agli obblighi che derivano dalle decisioni del Consiglio n. 1523/2015 e 1601/201523.

Come si diceva, la Commissione ha lanciato nel 2016 un processo di riforma del SECA, presentando sette proposte legislative volte a modificare gli atti normativi attualmente in vigore. Esula dall’oggetto del presente scritto un’analisi delle singole proposte. Ci si vuole limitare a evidenziare come l’approccio sottinteso alla riforma sia fortemente restrittivo e vada a comprimere l’esercizio del diritto alla protezione internazionale, attraverso istituti già previsti nell’acquis in vigore ma la cui applicazione viene incentivata, quali, ad esempio, quelli del Paese di origine sicuro e del Paese terzo sicuro, o anche attraverso le procedure accelerate e di frontiera24. Non sorprende che nel processo in atto le maggiori difficoltà si stiano riscontrando con riguardo alla revisione del regolamento Dublino25. Il 19 ottobre 2017 la Commissione LIBE del Parlamento europeo ha approvato una proposta di modifica che interviene radicalmente sull’assetto complessivo del sistema Dublino, superando il criterio del Paese di primo ingresso, attribuendo maggiore rilievo a criteri quali i legami familiari, il soggiorno precedente o gli studi in un determinato Stato membro, e introducendo un meccanismo di redistribuzione permanente centralizzato26. Il processo di adozione rimane ad ogni modo lungo e incerto, poiché la decisione del Consiglio, che dovrà adesso esaminare la proposta, potrebbe essere condizionata dall’ostruzionismo di quei Paesi dell’Est Europa (i cd. “Paesi di Visegrad”) che già si sono opposti a misure quali la ricollocazione e il reinsediamento.

È stato inoltre lanciato un nuovo piano di resettlement, anche questo di portata piuttosto limitata, che dovrebbe riguardare 50.000 persone in due anni, con un finanziamento di 500 milioni di euro. La Commissione europea sembra finalmente aver preso atto che solo l’apertura di canali di ingresso legali e sicuri consente “to save lives, contributes to reducing irregular migration and managing migratory pressure, and counters the narrative of smuggling networks”27. Nondimeno, l’approccio resta estremamente cauto, se si guarda al numero delle persone che potranno essere coinvolte nella procedura. Peraltro, come si è evidenziato poc’anzi, la prima esperienza, i cui risultati appaiono essere abbastanza fallimentari nel complesso, ha dimostrato in modo lampante la riluttanza degli Stati membri nei confronti di questa pratica.

Un rilievo preponderante, nell’attuale strategia dell’Unione europea in materia di immigrazione, come si ricava tra l’altro dal documento del 27 settembre 2017, è riconosciuto al controllo delle frontiere, al contrasto degli ingressi irregolari e ai rimpatri. Tra gli strumenti operativi volti al conseguimento di detti obiettivi si colloca la nuova Guardia di frontiera e costiera europea (GFCE)28, composta da Frontex e dalle autorità nazionali preposte alla gestione delle frontiere, alla quale viene attribuito il compito di “garantire una gestione europea integrata delle frontiere esterne, allo scopo di gestire efficacemente l’attraversamento delle frontiere esterne” (art. 1). Il regolamento (UE) 2016/1624 innova profondamente l’assetto originario di Frontex, ad esempio con l’attribuzione alla nuova agenzia del compito di definire una strategia operativa e tecnica per la gestione europea integrata delle frontiere, di svolgere la valutazione delle vulnerabilità, volta a verificare la capacità e la prontezza degli Stati membri nell’affrontare le sfide alle loro frontiere esterne, e con la previsione dell’obbligo per gli Stati membri di fornire il personale per gli interventi rapidi alle frontiere (salvo in circostanze eccezionali)29. Ciò che preme evidenziare è che tra le motivazioni che hanno spinto a riformare Frontex e ad adottare il regolamento (UE) n. 2016/1624 vi è proprio quella “di rispondere a flussi migratori senza precedenti”, come quelli che negli ultimi anni hanno raggiunto le frontiere esterne dell’Unione europea30. Restano nondimeno tutta una serie di questioni che non vengono chiarite, ad esempio quella della responsabilità condivisa tra Stati membri e GFCE nella gestione delle frontiere (art. 5 del regolamento), non essendo fornite specifiche indicazioni su quali siano i criteri per la ripartizione, con la conseguenza “[to] exacerbate the existing conundrum as regards shared responsibility”31. Inoltre all’agenzia non sono attribuiti compiti espressi in materia di search and rescue in mare, poiché a decidere quando intervenire in caso di emergenze umanitarie e di soccorso sono comunque gli Stati membri32.

Un ulteriore strumento ritenuto essenziale nell’attuale strategia portata avanti dall’Unione in materia di immigrazione, come confermato peraltro dalla comunicazione del 27 settembre 2017, è la cooperazione con i Paesi terzi33, su modello dell’intesa UE-Turchia, che registra le lodi della Commissione europea, in quanto avrebbe svolto “un ruolo chiave nell’interrompere il ciclo dei flussi incontrollati di migranti”, avrebbe prodotto “una forte diminuzione degli arrivi irregolari e delle perdite di vite umane” e contemporaneamente avrebbe creato “un’alternativa ai flussi migratori pericolosi , poiché ha aperto vie organizzate, sicure e legali verso l’Europa”34. Va segnalato che, a partire da marzo 2016, quando l’intesa è stata siglata, sono state trasferite in Europa dalla Turchia, sulla base del meccanismo 1:1, all’incirca 8.000 persone, un numero estremamente esiguo per poter valutare in termini positivi il funzionamento dell’intesa in questione almeno sotto il profilo del reinsediamento. Soprattutto, non si può tacere delle riserve espresse con riguardo a detta intesa35 dalle organizzazioni internazionali, governative e non36, che hanno evidenziato gli abusi e le violenze che subiscono i richiedenti asilo in Turchia, Paese che ancora mantiene la riserva geografica nell’applicazione della Convenzione di Ginevra del 195137.

L’altro partner strategico per la gestione delle migrazioni lungo la rotta del Mediterraneo centrale viene individuato nella Libia38, e ciò malgrado l’instabilità politica che caratterizza detto Paese, la frammentazione del potere a livello territoriale, la mancata ratifica della Convenzione di Ginevra del 1951 sul riconoscimento dello status di rifugiato, le continue denunce di violenze sistematiche subite dai migranti39. In particolare, accanto alla formazione della guardia costiera libica, di modo che possa “progressively and effectively manage search and rescue activities to prevent migrant smuggling in Libya’s territorial waters”, viene indicato l’obiettivo dell’istituzione di una EU Border Assistance Mission permanente40. La volontà delle istituzioni europee, come era già emerso durante il Vertice de La Valletta41, è quella di intensificare nel tempo la cooperazione con detto Paese, fornendo, tra le altre cose, supporto finanziario e logistico. Nel frattempo le autorità libiche continueranno ad essere sostenute nel contrasto del traffico di esseri umani attraverso le operazioni EUNAVFORMED (“Operazione Sophia”) e EUBAM.

Infine la comunicazione del 27 settembre 2017 attribuisce centralità alla politica di rimpatrio, che dovrebbe essere implementata in maniera più effettiva42, anche attraverso il supporto della nuova GFCE, alla quale viene attribuito, tra gli altri, il compito di supportare gli Stati membri, coordinarne le operazioni di rimpatrio, organizzarne di propria iniziativa e giocare un ruolo maggiore nell’acquisizione dei documenti di viaggio per i rimpatriandi43.

In conclusione, la politica portata avanti dall’Italia non costituisce un caso isolato ma si colloca in un quadro generale definito dall’Unione e improntato a un approccio securitario, nel quale viene attribuito un rilievo determinante al controllo delle frontiere, al blocco degli ingressi nel territorio europeo e alle operazioni di rimpatrio. Quanto tale approccio sia compatibile con i valori posti a fondamento dell’Unione europea è alquanto discutibile.

Del testo sono autrici la dott.ssa Adele Del Guercio e la prof.ssa Anna Liguori.

5J.-P. Gauci, Back to Old Tricks? Italian Responsibility for Returning People to Libya, in EJIL: Talk!, 6 giugno 2017, https://www.ejiltalk.org/back-to-old-tricks-italian-responsibility-for-returning-people-to-libya/; F. De Vittor, Responsabilità degli Stati e dell’Unione europea nella conclusione e nell’esecuzione di ‘accordi’ per il controllo extraterritoriale della migrazione, Relazione al XXII Convegno della Società Italiana di Diritto Internazionale, Trento, 9 giugno 2017, disponibile su https://www.youtube.com/watch?v=gCTcTJuWC3I&index=4&list=PL-auIDviyDFLQIMWQwBnWYZFmUcdySz2j; A. Liguori, The Italy- Libya MoU and its consequences, Relazione presentata alla Conferenza finale della Summer School del Jean Monnet Centre of Excellence on Migrants’ Rights in the Mediterranean, Castellammare di Stabia (Na), 21 giugno 2017, in corso di pubblicazione in G. Cataldi (a cura di), Migration in the Mediterranean Area and the Challenges for Hosting European Society, Editoriale scientifica, Napoli; Moreno-Lax, M. Giuffré, The Rise of Consensual Containment: From ‘Contactless Control’ to ‘Contactless Responsibility’ for Forced Migration Flows, in S. Juss (ed), Research Handbook on International Refugee Law, Cheltenham: Edward Elgar (in corso di pubblicazione); G. Carella, Il sonno della ragione genera politiche migratorie, in SIDIBlog, 11 September 2017, http://www.sidiblog.org/2017/09/11/il-sonno-della-ragione-genera-politiche-migratorie/. Sul Memorandum cfr. altresì F. Vassallo Paleologo, Elementi per un esposto nei confronti del governo italiano a seguito dell’applicazione del Memorandum d’intesa sottoscritto con il governo di Tripoli il 2 febbraio 2017, http://www.a-dif.org/2017/06/14/elementi-per-un-esposto-nei-confronti-del-governo-italiano-a-seguito-dellapplicazione-del-memorandum-dintesa-sottoscritto-con-il-governo-di-tripoli-il-2-febbraio-2017/.

6Art. 1 Memorandum.

7Art. 2 Memorandum.

8ILC Commentary to ASR (‘ASR Commentary’), [2001] YILC Vol. II (Part 2), (A/56/10), at 66-67, paras 1 and 10.

9https://www.hrw.org/world-report/2017/country-chapters/libya. Vedi anche, ex multis, OHCHR, United Nations Support Mission in Libya, “Detained and dehumanised”, Report on human rights abuses against migrants in Libya, 13 dicembre 2016; ASGI (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione): ‘the EU and Italy de facto violate the principle of non-refoulement’, 6 febbraio 2017, at http://www.asgi.it/english/libya-eu-italy-asylum-migration; “The human cost of European hypocrisy on Libya”, at https://www.amnesty.org/en/latest/news/2017/03/the-human-cost-of-european-hypocrisy-on-libya/.

11Cfr. su tale sentenza, ex multis, M. Den Heijer, Reflections on Refoulement and Collective Expulsion in the Hirsi Case, in International Journal of Refugee Law, 2013, p. 265 ss.; A. Liguori, La Corte europea dei diritti dell’uomo condanna l’Italia per i respingimenti verso la Libia del 2009: il caso Hirsi, in Rivista di diritto internazionale, 2012, p. 415 ss.; F. Messineo, Yet Another Mala Figura: Italy Breached Non-Refoulement Obligations by Intercepting Migrants’ Boats at Sea, Says ECtHR, in EJIL: Talk!, 24 febbraio 2012, http://www.ejiltalk.org/yet-another-mala-figura-italy-breached-non-refoulement-obligations-by-intercepting-migrants-boats-at-sea-says-ecthr/; V. Moreno-Lax, Hirsi v. Italy or the Strasbourg Court v. Extraterritorial Migration Control?, in Human Rights Law Review, 2012, p. 574 ss.; N. Napoletano, La condanna dei ‘respingimenti’ operati dall’Italia verso la Libia da parte della Corte europea dei diritti umani: molte luci e qualche ombra, in Diritti Umani e Diritto Internazionale, 2012, p. 436 ss.

14La responsabilità dell’Italia potrebbe tuttavia configurarsi anche come responsabilità diretta per violazione di obblighi positivi inerenti al rispetto del divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti, sancito dall’articolo 3 CEDU: in tal caso, alla luce di alcuni elementi della giurisprudenza della Corte europea in tema di obblighi positivi, potrebbe essere più facile soddisfare il requisito della giurisdizione, e quindi accertare la responsabilità dello Stato in ipotesi di esternalizzazione delle frontiere. Sul punto cfr. A. Liguori, Externalization of Border Controls and Responsibility of Outsourcing States under the European Convention on Human Rights, attualmente sottoposto a referaggio in vista della pubblicazione.

15Cfr. P. De Sena, F. De Vittor, La “minaccia” italiana di “bloccare” gli sbarchi di migranti e il diritto internazionale, in SIDIBlog, 1 luglio 2017, http://www.sidiblog.org/2017/07/01/la-minaccia-italiana-di-bloccare-gli-sbarchi-di-migranti-e-il-diritto-internazionale/#comment-4621.

16Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, Agenda europea sulla migrazione, COM(2015) 240 final del 13 maggio 2015.

17Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale europeo e al Comitato delle Regioni sull’attuazione dell’Agenda europea sulla migrazione, COM(2017) 558 final del 27 settembre 2017, p. 2.

18Regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, che istituisce un codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen).

19Comunicazione sull’attuazione dell’Agenda europea sulla migrazione, cit., p. 18.

21L’ultimo aggiornarmento è del 6 settembre 2017 e mostra come solo 17305 persone siano state trasferite nel territorio europeo, di cui solo 8834 dalla Turchia, in attuazione del meccanismo 1:1. Stati membri come la Bulgaria, la Croazia, Cipro, Grecia, Malta, Polonia, Romania, Slovacchia e Slovenia non hanno provveduto ad accogliere nessun richiedente asilo. Si rinvia al documento della Commissione europea, Fifteenth report on relocation and resettlement, COM(2017) 465 final del 6 settembre 2017.

22Emblematico di tale riluttanza è il ricorso di annullamento, presentato da Repubblica slovacca e Ungheria, avente ad oggetto la Decisione (UE) 2015/1601, Misure temporanee in materia di protezione internazionale a beneficio della Repubblica ellenica e della Repubblica italiana. La Repubblica slovacca e l’Ungheria, come anche la Repubblica ceca e la Romania, avevano votato contro la suddetta decisione. La Corte di giustizia ha respinto tutte le motivazioni addotte dalle parti ricorrenti ed ha precisato una serie di questioni. Innanzitutto, ha confermato che le misure di ricollocazione sono parte dell’acquis in materia di asilo e che pertanto è rispettato il principio della certezza del diritto e di chiarezza normativa. Ha inoltre ribadito che deve essere sempre garantito sul piano nazionale un diritto di ricorso effettivo, ai sensi dell’articolo 47 della Carta, contro qualsiasi decisione che debba essere presa da un’autorità nazionale nell’ambito della procedura di ricollocazione. La Corte ha rigettato anche le altre contestazioni del governo ungherese, secondo cui la decisione del Consiglio non prevederebbe norme effettive idonee a bloccare i movimenti secondari, così come criteri per determinare lo Stato di ricollocazione in modo non arbitrario. Infine, ha ribadito il principio di non respingimento, il quale vieta che un richiedente protezione internazionale venga espulso verso uno Stato terzo fino a che non sia intervenuta una decisione sulla sua domanda. Cfr. cause riunite C-643/15 e C-647/15, Repubblica slovacca e Ungheria, sostenute da Repubblica di Polonia, contro Consiglio dell’Unione europea, 6 settembre 2017.

23In particolare, Ungheria e Polonia non hanno ricollocato nessun richiedente asilo, mentre la procedura in Repubblica Ceca è ferma dall’agosto 2016. Cfr. Fifteenth report on relocation and resettlement, cit., p. 3. Cfr. anche http://europa.eu/rapid/press-release_IP-17-1607_en.htm.

24Sulla riforma del SECA si rinvia a E. De Capitani, Asylum Legislative Package: State of Play (according to the Council of the European Union), 10 ottobre 2017, reperibile al sito https://free-group.eu.

25Regolamento (UE) N. 604/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (rifusione).

27Commission Recommendation of 27.9.2017 on enhancing legal pathways for persons in need of international protection, C(2017) 6504 del 27 settembre 2017.

28Regolamento (Ue) 2016/1624 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 14 settembre 2016 relativo alla Guardia di frontiera e costiera europea che modifica il regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga il regolamento (CE) n. 863/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, il regolamento (CE) n. 2007/2004 del Consiglio e la decisione 2005/267/CE del Consiglio.

29Più in generale sulle novità introdotte dal regolamento (Ue) 2016/1624 si rinvia a F. Zorzi Giustiniani, Da Frontex alla Guardia di frontiera e costiera europea: novità in tema di gestione delle frontiere esterne, in DPCE, 2/2017, pp. 523-540.

30Proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio relativo alla guardia costiera e di frontiera europea e che abroga il regolamento (CE) n. 2007/2004, il regolamento (CE) n. 863/2007 e la decisione 2005/267/CE del Consiglio, p. 3.

31J. Rijpma, Frontex and the European System of Border Guards: The Future of European Border Management, in M. Fletcher et al. (eds.), The European Union as an Area of Freedom, Security and Justice, Routledge, 2016, p. 29.

32Sul punto si rinvia a F. Zorzi Giustiniani, op. cit., p. 538.

33Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio Europeo, al Consiglio e alla Banca Europea per gli Investimenti sulla creazione di un nuovo quadro di partenariato con i paesi terzi nell’ambito dell’agenda europea sulla migrazione, COM(2016) 385 final del 7 giugno 2016 e successive comunicazioni sull’attuazione.

34Comunicazione sull’attuazione dell’Agenda europea sulla migrazione, cit., p. 4.

35Sulla natura giuridica dell’intesa UE-Turchia si veda anche l’ordinanza – alquanto discutibile – del Tribunale dell’UE, causa T-192/16, NF c. Consiglio europeo, 28 febbraio 2017, sulla quale si rinvia a E. Cannizzaro, Denialism as the Supreme Expression of Realism – A Quick Comment on NF v. European Council, in European Papers, 2/2017, 15 marzo 2017, pp. 251-257.

36Tra gli altri, si rinvia al rapporto Amnest International, A Blueprint For Despair. Human Rights Impact Of The Eu-Turkey Deal, 2017, reperibile al link https://www.amnesty.nl/content/uploads/2017/02/EU-Turkey-Deal-Briefing.pdf?x71839.

37C. Favilli, La cooperazione UE-Turchia per contenere il flusso dei migranti e richiedenti asilo: obiettivo riuscito?, in DUDI, 2/2016, pp. 405-426.

38Report From The Commission To The European Parliament, The European Council And The Council, Fourth Progress Report on the Partnership Framework with third countries under the European Agenda on Migration, COM(2017) 350 final del 13 giugno 2017, p. 9.

39Al riguardo si rinvia ai rapporti menzionati nelle note 4, 9 e 12 e 13, nonché alla lettera del Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Niels Munzics, a Marco Minniti del 28 settembre 2017, reperibile al link https://rm.coe.int/letter-to-the-minister-of-interior-of-italy-regarding-government-s-res/168075baea (si veda anche la risposta del ministro Minniti dell’11 ottobre, reperibile al link https://rm.coe.int/rma/drl/objectId/090000168075da5b). Cfr. anche V. Zagrebelsky, Le regole del diritto in mare, in La Stampa, 11 agosto 2017.

40Fourth Progress Report, cit., p. 9. L’obiettivo della formazione della guardia costiera libica si rinviene già nella Decisione (PESC) 2016/993, del Consiglio del 20 giugno 2016 che modifica la decisione (PESC) 2015/778, relativa a un’operazione militare dell’Unione europea nel Mediterraneo centromeridionale (EUNAVFOR MED operazione SOPHIA), art. 2 bis.

41Dichiarazione di Malta dei membri del Consiglio europeo sugli aspetti esterni della migrazione: affrontare la rotta del Mediterraneo centrale, La Valletta, 3 febbraio 2017.

42Si veda anche Commission Recommendation of 27.9.2017 establishing a common “Return Handbook” to be used by Member States’ competent authorities when carrying out return related tasks, C(2017) 6505 del 27 settembre 2017.

43Quarta sezione del regolamento (UE) n. 1164/2016.

 

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Novembre 22, 2017

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